Presentazione dell’Esortazione Apostolica Postisinodale Christus Vivit. Intervento del Dott. Paolo Ruffini, Prefetto del Dicastero per la Comunicazione
Presentazione dell’Esortazione Apostolica Postisinodale
Christus Vivit
Dott. Paolo Ruffini
Martedì 2 aprile 2019
Buongiorno,
dell’Esortazione apostolica post-Sinodale io sottolineerò soprattutto alcuni punti che riguardano in senso lato la comunicazione.
Perché questo è il mio ruolo, come Prefetto.
Perché questo è quel che io, e voi, siamo chiamati a fare: comunicare.
Perché i giovani, a cui l’Esortazione è rivolta in primo luogo, sono figli della società della comunicazione; e abitanti di un tempo che è segnato spesso, invece, dall’incomunicabilità.
Perché alla comunicazione – che comincia qui, ora - è affidata in fin dei conti la comprensione del senso complessivo di questo documento e di ciò che esso avvia.
La prima cosa che vorrei dire è che questa Esortazione testimonia la verità - anche comunicativa -del cammino sinodale della Chiesa. Un cammino che non finisce qui, ma continua; che non si ferma, ma va avanti proprio perché i più vecchi possono passare il testimone ai più giovani.
E’ sempre stato così. Questa è la nostra storia.
Come si può leggere al numero 37, la Chiesa può sempre cadere nella tentazione di perdere l’entusiasmo. Ma sono i giovani che possono aiutarla a rimanere giovane, a non cadere nella corruzione, a non fermarsi, a non inorgoglirsi, a non trasformarsi in una setta, ad essere più povera e capace di testimonianza, a stare vicino agli ultimi e agli scartati, a lottare per la giustizia e a lasciarsi interpellare con umiltà (ChV 37)
Essere veri è il modo migliore per comunicare la verità di quel che si testimonia.
Questa è la reazione alle difficoltà di una Chiesa che si mantiene giovane, che si lascia interrogare e stimolare dalla sensibilità dei giovani (ChV 42).
Di una Chiesa che non è elitaria, ma popolare.
Che non riduce il Vangelo a una proposta insipida, incomprensibile, lontana. Ma accetta di essere “popolare” (ChV 235-6); e innesta così un processo lento, rispettoso, paziente, fiducioso, instancabile, compassionevole (ChV 236).
I giovani comunicano la vitalità della Chiesa.
La seconda cosa riguarda la necessità per noi comunicatori di non scambiare la parte con il tutto, finendo con il dare una falsa rappresentazione della realtà. Nel nostro caso dei giovani, e della Chiesa.
Anche su questo l’Esortazione mi pare usi parole molto chiare nell’assumere il punto dei vista, lo sguardo largo dei giovani, che da un lato non vogliono vedere una Chiesa silenziosa e timida, ma nemmeno sempre in guerra per due o tre temi che la ossessionano (ChV 41); e dall’altro chiedono a loro volta di essere guardati, compresi, nella loro complessa interezza. Che è fatta di sogni, di ideali, di drammi di sofferenze.
“Non possiamo essere una Chiesa che non piange di fronte ai drammi dei suoi figli giovani. Non dobbiamo mai farci l’abitudine, perché chi non sa piangere non è madre” (ChV 75)
Piangere vuol dire soffrire con. Patire con. Provare compassione. La compassione è un passaggio obbligato, un momento centrale per comunicare veramente. Patire con è il contrario esatto del correre subito a conclusioni che dividono noi dagli altri.
Piangere significa accompagnare.
In molti ricorderanno quanto si sia parlato durante il Sinodo del significato di questo accompagnamento. Di come si possa, anzi si debba, accompagnare anche chi sbaglia, non per sbagliare con lui, ma per illuminarne la mente.
I padri sinodali e Francesco hanno riassunto tutto questo con una icona: l’episodio evangelico dei discepoli di Emmaus.
Andavano dalla parte sbagliata. Gesù sceglie di camminare con loro. Di ascoltare i loro discorsi sbagliati. Di aspettare. Senza fretta. Di entrare nella loro notte.
Gesù non ha paura di sporcarsi le mani, di accompagnare, di condividere, di riconnettere il filo della memoria e della conoscenza, di far crescere la consapevolezza in un dialogo paziente.
E sono loro stessi, i discepoli di Emmaus, dopo averlo riconosciuto, dopo aver capito, a scegliere di riprendere subito il cammino, ma nella direzione opposta, tornando a Gerusalemme.
C’è in questa pagina del Vangelo tutto il mistero dell’incarnazione. E c’è il racconto anche del nostro tempo; fatto di scontri nei quali nessuno ascolta, di dispute in cui sembra vincere chi grida di più; di certezze fragili; di divisioni artefatte; di identità fondate sulla costruzione di un nemico; di riflessi pronti e riflessioni lente.
Di fronte a tutto questo, «oggi noi adulti», scrive il Papa nell’Esortazione, «corriamo il rischio di fare una lista di disastri, di difetti della gioventù del nostro tempo».
Invece dovremmo avere la capacità «di individuare percorsi dove altri vedono solo muri» «saper riconoscere possibilità dove altri vedono solo pericoli” (ChV 67);.
Di qui per esempio anche l’esortazione: “Chiedo in particolare ai giovani di non cadere nelle reti di coloro che vogliono metterli contro altri giovani che arrivano nei loro Paesi, descrivendoli come soggetti pericolosi e come se non avessero la stessa inalienabile dignità di ogni essere umano (ChV 94)”.
La terza cosa riguarda l’ambiente digitale che caratterizza la comunicazione contemporanea. «Non si tratta più soltanto di “usare” strumenti di comunicazione, ma di vivere in una cultura ampiamente digitalizzata che ha impatti profondissimi sulla nozione di tempo e di spazio, sulla percezione di sé, degli altri e del mondo, sul modo di comunicare, di apprendere, di informarsi, di entrare in relazione con gli altri (ChV 86)».
«Quello digitale è un contesto di partecipazione sociopolitica e di cittadinanza attiva, un luogo irrinunciabile per raggiungere e coinvolgere i giovani, anche in iniziative e attività pastorali (ChV 87)», ma è anche un territorio di solitudine, manipolazione, sfruttamento e violenza, fino al caso estremo del dark web (ChV 88)».
Questi circuiti chiusi facilitano la diffusione di informazioni e notizie false, fomentando pregiudizi e odio. La proliferazione delle fake news è espressione di una cultura che ha smarrito il senso della verità e piega i fatti a interessi particolari. La reputazione delle persone è messa a repentaglio tramite processi sommari on line. Il fenomeno riguarda anche la Chiesa e i suoi pastori (ChV 89)».
A tutto questo il Papa contrappone un modo diverso di vivere non solo la rete, ma tutti i linguaggi. Anche quello del silenzio, della contemplazione. L’arte, la musica, lo sport. La carità, l’impegno sociale. La politica. Rovesciando la prospettiva. Riconnettendo reale e virtuale. Privilegiando «il linguaggio della vicinanza, il linguaggio dell’amore disinteressato, relazionale, esistenziale, che tocca il cuore» (ChV 211)
Fino a un vero e proprio appello: Cari giovani, voi non avete prezzo! Non siete pezzi da vendere all’asta! Per favore, non lasciatevi comprare, non lasciatevi sedurre, non lasciatevi schiavizzare dalle colonizzazioni ideologiche …dovete sempre ripetervelo: non sono all’asta, non ho prezzo. Sono libero! Innamoratevi di questa libertà, che è quella che offre Gesù (ChV 122)».
La libertà dagli stereotipi è essenziale per comunicare bene il cristianesimo, che non è – scrive il Papa citando Oscar Romero, vescovo, Santo e martire - un insieme di verità in cui occorre credere, di leggi da osservare, di divieti. Così risulta ripugnante. Il cristianesimo è una Persona che mi ha amato così tanto da reclamare il mio amore. Il cristianesimo è Cristo”. E Cristo è vivo.
Anche sul fronte degli abusi (la quarta cosa di cui vorrei parlare), l’Esortazione ci invita ad una comunicazione trasparente e vera. Completa, non parziale. Ci chiede gratitudine verso coloro che hanno avuto e hanno il coraggio di denunciare il male subìto, aiutando la Chiesa a prendere coscienza e a reagire con decisione. Non si nasconde dietro le colpe degli altri, perché l’universalità della piaga non diminuisce la sua mostruosità all’interno della Chiesa. Ribadisce l’impegno per l’adozione di rigorose misure di prevenzione che impediscano il ripetersi di crimini inaccettabili . Chiede ai giovani di mettere in gioco la loro capacità di rinnovare, rivendicare, esigere coerenza e testimonianza. Ricorda tutti coloro che nella Chiesa ogni giorno si spendono con onestà e dedizione al servizio dei giovani. La loro opera è una foresta che cresce senza fare rumore. Un silenzio che comunica in altro modo.
L’ultima cosa che vorrei sottolineare è l’insistenza del Papa, nell’Esortazione, sulla comunicazione intergenerazionale come chiave del rinnovamento della Chiesa.
Se «i giovani si radicano nei sogni degli anziani riescono a vedere il futuro» (ChV 193).
E’ con questa consapevolezza che Francesco invita i giovani a non stare al balcone, a non guardare la vita che passa sotto le finestre senza entrare nella mischia, a coinvolgersi, a sporcarsi le mani, ad avere Fede e a sognare; non per astrarsi dalla realtà, ma per cambiarla anche attraverso la loro capacità di comunicare, di divenire leader popolari. “Non lasciate che altri siano protagonisti del cambiamento!” (ChV 174).