Intervento di Mons. Fabene all'università Lateranense. Sinodo dei Giovani: le aspettative, le riflessioni e le sollecitudini della Chiesa
Quale Chiesa dai giovani?
Sinodo dei Giovani: le aspettative, le riflessioni e le sollecitudini della Chiesa
Roma, Pontificia Università Lateranense
9 marzo 2018
+ Fabio Fabene
Desidero ringraziare S.Ecc. Mons. Enrico Dal Covolo, Rettore della Pontificia Università Lateranense, e il Dottor Giulio Carpi, Direttore della Scuola Internazionale di Management Pastorale, per avermi invitato a tenere la relazione inaugurale in occasione di questo Festival della Creatività Pastorale. Saluto poi con cordialità gli altri illustri relatori (tra i quali S.Ecc. Mons. Gian Franco Saba, Arcivescovo di Sassari), i professori, gli studenti e tutti i partecipanti.
Questo evento ben si inserisce nel cammino che la Chiesa universale ha avviato dall’ottobre 2016 in preparazione alla prossima Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, dedicata a «I giovani, la fede e il discernimento vocazionale», in programma dal 3 al 28 ottobre di quest’anno.
«Quale Chiesa dai giovani?»: questo è il titolo del Festival. Si tratta di una questione fondamentale per l’Assemblea sinodale del prossimo autunno, da articolare con la vostra prospettiva di creatività pastorale. Mossa dal desiderio di rinnovare il suo impegno a favore dei giovani, la Chiesa è oggi invitata a mettere in discussione i modi di fare abituali (come spesso ripete Papa Francesco) e, a partire dall’ascolto, a “discernere” con audacia e creatività le strade su cui il Signore la chiama.
In questo senso il “discernimento” in questione nel prossimo Sinodo riguarda certamente e in primo luogo il progetto di vita dei giovani, ma ha inevitabilmente a che vedere anche con lo “stile” della Chiesa che, accompagnando i giovani a scoprire la loro via verso la gioia del Vangelo, è chiamata essa stessa a rinnovare – o meglio a “ringiovanire” – il proprio volto. In questo modo, i giovani potranno riconoscere nella Chiesa un’interlocutrice credibile e autorevole, capace di presentare loro una proposta di vita e di senso non preconfezionata, ma in grado di accompagnarli sul serio nel loro sviluppo.
1. In ascolto dei giovani oggi
Il punto di partenza è che i giovani sono per definizione diversi, originali, “nuovi”: può sembrare banale, ma in realtà la società sembra dimenticarlo troppo spesso, non riuscendo così ad approfittare delle loro energie e risorse e “tagliandoli fuori” sotto molti punti di vista. Questo vale ad esempio per il mondo del lavoro: oltre a quelli che non riescono a entrarvi, i giovani che hanno un’occupazione si confrontano sovente con le aspettative di una società che li vuole “formattati” secondo le sue attese, e che non riesce a far spazio alla “novità” di cui sono portatori. È anche questa una forma di “cultura dello scarto”. Ciò può valere anche all’interno delle nostre Comunità ecclesiali: la creatività pastorale è la risposta appropriata a questo problema.
Inoltre, se è vero che la “diversità” dalle generazioni precedenti è il tratto caratteristico dei giovani di ogni epoca, nel nostro mondo l’accelerazione dei processi di mutamento socio-culturale aumenta a dismisura rispetto al passato la distanza tra “padri” e “figli” per quanto riguarda i modi di pensare, di agire, di concepire la vita. Questo rende la comunicazione più faticosa. È uno degli effetti della rapidación che Papa Francesco segnala al n. 18 della Laudato si’.
In considerazione di ciò, il primo passo per colmare il divario e arrivare all’incontro con i giovani, e quindi anche il primo passo di una pastorale creativa, non può che essere da parte degli adulti rispettare questa “novità” e questa “diversità”, prendendole sul serio senza giudicarle a priori. Sono gli stessi giovani a chiederlo: ricordo in proposito che, nel Seminario internazionale sulla condizione giovanile organizzato dalla Segreteria Generale del Sinodo nel settembre 2017, i giovani presenti hanno espresso con forza il desiderio di voler camminare e di voler crescere insieme agli adulti.
Desidero di seguito passare brevemente in rassegna alcuni elementi caratteristici dei giovani di oggi, che possiamo assumere come “segni dei tempi” in cui vivono e crescono le nuove generazioni.
2. Incertezza e insicurezza
L’incertezza è un dato caratteristico dei nostri tempi. La combinazione tra elevato grado di complessità e rapido mutamento che caratterizza la società moderna proietta i giovani in un contesto di incertezza, connessa ai rischi e alle implicazioni delle loro azioni, mai sperimentato dalle generazioni precedenti.
L’incertezza costituisce un vincolo importante all’interno dei processi di scelta, a qualsiasi livello. Se da un lato le nuove generazioni hanno sempre più vivo il desiderio di costruire in modo creativo e strategico il loro percorso di vita, dall’altro lato è diventato sempre più difficile orientarsi tra le molte possibili scelte. Il numero delle opzioni aumenta a dismisura. Le vecchie “mappe” non funzionano più. L’esperienza trasmessa dalle generazioni precedenti diventa rapidamente obsoleta. La costruzione dell’identità si trasforma sempre più in un progetto “riflessivo”: gli individui sono costantemente forzati a riorganizzare e riadattare i propri percorsi biografici – rimettendo continuamente in discussione le proprie scelte – in risposta alle esperienze vissute e alle mutate condizioni del contesto.
Quando supera il livello che le persone sono in grado di gestire, l’incertezza origina a livello di esperienza psicologica il vissuto dell’insicurezza. Il malessere che ne deriva, unito all’instabilità socio-politica e alla precarietà economica, è la base della condizione di vulnerabilità che sperimentano molti giovani.
3. Indebolimento delle istituzioni
Nella nostra società la credibilità delle istituzioni – di ogni genere: Stato, partiti, sindacati, Chiese, banche, scienza, ecc. – è ai minimi storici, erosa da manipolazioni e scandali. Anche le istituzioni hanno il loro punto debole, che si manifesta quando alcuni riescono a piegarle ai propri interessi. Non per caso, la corruzione rappresenta una piaga sociale contro cui Papa Francesco non cessa di alzare la voce. I giovani sono molto sensibili a tutto questo, anche se ciò li porta a volte ad alimentare attese di una “purezza” astratta e irrealistica. Quando la società civile non resta invischiata nello scetticismo e nella disillusione, questa situazione può risultare salutare e aprire lo spazio a percorsi di partecipazione e assunzione di responsabilità.
Una pastorale creativa saprà essere particolarmente attenta alle opportunità che si possono aprire nell’ottica della cittadinanza attiva, in particolare quelle più innovative. Nessuno, in particolare, ha ancora veramente capito quale sia il reale potenziale delle forme di partecipazione e mobilitazione, anche politica, basate sul web. Ad esempio, siamo ancora in attesa di comprendere la portata di fenomeni come l’etica hacker o la cultura wiki. Per certi versi ne potrebbe nascere qualcosa di analogo al movimento cooperativo, in termini di costruzione di soggetti sociali dal basso. La riflessione è pertinente soprattutto perché si tratta di fenomeni che attirano l’attenzione di molti giovani e possono quindi diventare una opportunità di protagonismo e di sperimentazione delle proprie capacità.
4. Giovani e fede
Il pluralismo segna il mondo giovanile anche per quanto riguarda la fede, l’appartenenza ecclesiale e la pratica religiosa. La varietà delle posizioni è l’immagine che i giovani ci trasmettono quando sono chiamati a descrivere il loro rapporto con la fede. La loro cerchia di amici è una realtà assai variegata dal punto di vista religioso, è difficile individuare una tendenza prevalente, anche in questo campo l’eterogeneità delle posizioni prevale di gran lunga sulla convergenza. Quello religioso, dunque, è un “luogo” aperto per i giovani, in cui convivono orientamenti e scelte diverse, che rispecchiano la varietà e l’eterogeneità dei percorsi di socializzazione e delle opzioni di vita che si producono nella modernità avanzata.
Oggi, comunque, si segnala anche tra i giovani un risveglio della religione, nel senso che si fa strada nelle coscienze giovanili una diffusa disposizione verso una religiosità soggettivo-emotiva che si manifesta più mediante la via simbolica che mediante l’uso della ragione strumentale. Non a caso, anche in sintonia con le esigenze del “sé profondo” post-moderno, meno pervaso dalla razionalità di quanto appaia in superficie, l’appello dei giovani alla fede tende a privilegiare, come modalità preferita di interiorizzazione, il cosiddetto “cristianesimo affettivo”. A ciò si aggiunge il desiderio di tradurre la vita di fede in un impegno concreto a favore degli altri, in particolare dei più svantaggiati: si tratta così, oltre che di un “cristianesimo affettivo”, anche di un “cristianesimo impegnato e solidale”.
Questi sono aspetti su cui il prossimo Sinodo sarà chiamato a interrogarsi, nella consapevolezza che tali sfide interpellano da vicino la Chiesa e le sue istituzioni e la stimolano a un coraggioso e creativo ripensamento delle modalità di trasmissione della fede alle nuove generazioni. Come cristiani, del resto, siamo fermamente convinti che il messaggio del Vangelo non passa mai di moda e, anzi, ha moltissimo da dire proprio alle nuove generazioni.
5. Decidere di sé
La novità e la diversità contraddistinguono anche il rapporto delle giovani generazioni con le scelte fondamentali della vita. Spesso sono definiti come “incostanti”, ma, prima di diagnosticare a un’intera generazione una patologia della capacità decisionale, ci sembra corretto provare a formulare una ipotesi alternativa: i profondi e continui mutamenti del contesto fanno sì che i processi attraverso cui ciascuno mette a fuoco i passi del suo cammino avvengano oggi con forme e tempi che non sono immediatamente decodificabili da parte di chi appartiene a un’altra generazione.
Per certi aspetti, l’esperienza dei giovani di oggi non appare molto diversa dall’esperienza di Abramo, che, come dice la Lettera agli Ebrei, per fede «partì senza sapere dove andava» (11, 8). È all’interno di questo contesto che vanno immaginate le proposte rivolte ai giovani; altrimenti rischiano di non essere comprese oppure di risultare affascinanti ma poco realizzabili nella pratica.
6. Il discernimento come via della Chiesa
È qui che si colloca la “scommessa” di fondo del Sinodo: che il discernimento costituisca uno strumento particolarmente adatto al contesto in cui ci troviamo.
Quando mancano le “mappe”, per non perdersi occorre affidarsi alla “bussola”. Se l’obiettivo è trovare la propria strada, l’ago della bussola non può che essere il desiderio di pienezza che ciascun essere umano porta dentro di sé, perché gli è stato messo dentro da Dio Creatore. È una pienezza che coincide – afferma il Documento Preparatorio – con quella vocazione all’amore e al dono di sé che ogni uomo ha ricevuto. Questo desiderio provoca inquietudine, irrequietezza e spinge a cercare fino a che non si incontra ciò a cui si tendeva. Magari nemmeno si sapeva che cosa si stesse cercando, ma quando lo si trova lo si riconosce, scoprendo la dimensione del “per sempre” di cui magari fino a un attimo prima si dubitava. In tal senso, l’inquietudine che – come abbiamo detto – caratterizza le nuove generazioni non va considerata solo un limite o un problema, ma è anche una grazia dello Spirito Santo, che mette la persona in cammino, in dialogo, in ricerca.
Leggere i movimenti della bussola del desiderio, orientarsi sulla base dei movimenti della nostra interiorità, distinguere la voce dello Spirito Santo che parla nell’intimo della coscienza richiede un’abilità, che nella tradizione della spiritualità cristiana si chiama discernimento degli spiriti: il Documento Preparatorio del prossimo Sinodo vi dedica l’intero paragrafo 2 del secondo capitolo, articolandone i passi sulla base del n. 51 di Evangelii gaudium. Non è una dottrina che si impara sui libri, ma un sapere pratico che si affina con l’esercizio.
Il discernimento serve in primo luogo alla Chiesa per orientarsi all’interno di un mondo giovanile che – come abbiamo detto – appare “nuovo” e “diverso”. Per questo abbiamo chiesto ai giovani di partecipare al processo di preparazione del Sinodo, attraverso iniziative in gran parte inedite, come un apposito Questionario online e la Riunione pre-sinodale che si terrà dal 19 al 24 marzo prossimi.
Il Questionario, che è rimasto in rete per oltre sei mesi, ha totalizzato ben 221.000 contatti. Di questi, 100.500 sono coloro che hanno risposto a tutte le domande: 58.000 ragazze e 42.500 ragazzi. Quasi 51.000 partecipanti, che corrispondono al 50,6% dei Questionari completati, sono ragazzi compresi fra i 16 e i 19 anni, a dimostrazione che proprio i più giovani si sono dimostrati maggiormente sensibili all’iniziativa.
Quanto all’ormai imminente Riunione pre-sinodale, benché qualche volta in passato sia già avvenuto che un’Assemblea del Sinodo fosse preceduta da congressi preparatori, quella di convocare a Roma per una settimana oltre trecento giovani di tutti i continenti per ascoltare la loro voce è un’iniziativa senza precedenti. Inoltre, attraverso i social networks, anche i giovani che non parteciperanno fisicamente all’evento potranno seguire a distanza i lavori, interagire e soprattutto inviare i loro contributi.
Nelle parole del Santo Padre, «con tale cammino la Chiesa vuole mettersi in ascolto della voce, della sensibilità, della fede e anche dei dubbi e delle critiche dei giovani – dobbiamo ascoltare i giovani –. Per questo, le conclusioni della Riunione di marzo saranno trasmesse ai Padri sinodali»[1]. Dalla Riunione dovrà scaturire un documento che, insieme alle sintesi delle Conferenze Episcopali e agli altri apporti della fase preparatoria, costituirà il punto di partenza dei lavori del Sinodo. Si conferma così che il Sinodo “sui” giovani è anche un Sinodo “dei” giovani: i giovani sono contemporaneamente oggetto e soggetto, chiamati a mettersi in ascolto dei loro Pastori, ma chiamati ancora prima a parlare e a farsi ascoltare dai loro Pastori, in una circolarità virtuosa che è l’essenza stessa della sinodalità ecclesiale.
Proprio i giovani, in effetti, possono aiutarci a capire meglio cosa il Vangelo insegna, come si può vivere la fede nel nostro tempo e come la Chiesa può e deve rinnovarsi per adempiere sempre meglio la propria vocazione e la propria missione universale: non sono solo i pastori ad aiutare i giovani nel loro discernimento vocazionale, ma sono anche i giovani – insieme a tutti gli altri membri del Popolo di Dio – ad aiutare i pastori nell’opera del discernimento ecclesiale. In un certo senso, non si può sperare in un’autentica riforma della Chiesa senza interpellare voci nuove e se necessario critiche, come sono quelle dei giovani. È proprio questa – mi pare – la sfida contenuta nel titolo di questo Festival: «Quale Chiesa dai giovani?», ovvero quale Chiesa i giovani domandano, si aspettano e possono contribuire a costruire.
7. Il discernimento come proposta per i giovani
Il discernimento resta comunque, al tempo stesso, lo strumento che la Chiesa sente di poter offrire ai giovani per potersi orientare in un mondo complesso di cui neanche loro possiedono la mappa. Si potrebbe affermare che proprio “discernimento” rappresenti la parola chiave del prossimo Sinodo dei giovani, in continuità con il precedente cammino sinodale sulla famiglia del periodo 2014-2015 e l’Esortazione Apostolica Amoris laetitia che ne è scaturita nel 2016, laddove – come si ricorderà – proprio il discernimento, insieme all’accompagnamento e all’integrazione, è indicato come il criterio pastorale fondamentale per approcciare le situazioni matrimoniali cosiddette “fragili” o “irregolari” .
Papa Francesco ritiene che il discernimento debba diventare via abituale della pastorale ecclesiale, perché ciò è richiesto dal cambiamento d’epoca che stiamo vivendo. Che cosa più esattamente sia il discernimento, il Documento Preparatorio lo spiega in questo modo:
«Prendere decisioni e orientare le proprie azioni in situazioni di incertezza e di fronte a spinte interiori contrastanti è l’ambito dell’esercizio del discernimento. Si tratta di un termine classico della tradizione della Chiesa, che si applica a una pluralità di situazioni. Vi è infatti un discernimento dei segni dei tempi, che punta a riconoscere la presenza e l’azione dello Spirito nella storia; un discernimento morale, che distingue ciò che è bene da ciò che è male; un discernimento spirituale, che si propone di riconoscere la tentazione per respingerla e procedere invece sulla via della pienezza di vita. Gli intrecci tra queste diverse accezioni sono evidenti e non si possono mai sciogliere completamente»[2].
Il Sinodo, in ogni caso, vuole stringere l’attenzione su una dimensione particolare del discernimento, cioè sul discernimento vocazionale, che è il «processo con cui la persona arriva a compiere, in dialogo con il Signore e in ascolto della voce dello Spirito, le scelte fondamentali, a partire da quella sullo stato di vita»[3].
Si deve qui segnalare uno sviluppo importante che il Sinodo vuole propiziare, ovvero l’ampliamento del concetto tradizionale di vocazione e, di conseguenza, il collegamento più evidente e per così dire sistematico fra pastorale giovanile e pastorale vocazionale, che si esprime nella formula, più volte impiegata dal Documento Preparatorio, di «pastorale giovanile vocazionale».
Si tratta di riconoscere «una inclusione reciproca tra pastorale giovanile e pastorale vocazionale»[4], per evitare un duplice pericolo: il pericolo che la pastorale giovanile, da sola, si riduca a giovanilismo, esaurendosi nella volontà di contatto con i giovani senza educarli a rispondere all’appello di Dio a una vita in pienezza; e il pericolo che la pastorale vocazionale, da sola, si riduca a elitarismo, dando l’idea che solo alcuni sono chiamati da Dio. Foggiando questa nuova “grammatica”, il cammino sinodale propone insomma di qualificare dall’interno la pastorale giovanile e di estendere all’esterno gli spazi della pastorale vocazionale, ovviamente senza tralasciare una speciale attenzione alle vocazioni alla vita sacerdotale e religiosa, questione che rappresenta una vera e propria “sfida” in molte Regioni del pianeta.
8. Il coraggio della creatività pastorale
I giovani di oggi hanno un desiderio profondo di pienezza e di gioia, che devono imparare a riconoscere per poter interpretare le esperienze che compiono e comprenderne il maggiore o minore valore, arrivando infine a scegliere in che direzione muovere i loro passi.
In questa situazione, ritrovare autorità e promuovere creatività non sono affatto per la Chiesa prospettive in conflitto. Anzi. Secondo l’analisi suggerita dal linguista francese Émile Benveniste, il termine autorità viene dal latino auctoritas, che a sua volta si collega al verbo augeo: «Nei suoi usi più antichi, augeo indica non il fatto di aumentare ciò che esiste, ma l’atto di produrre dal proprio seno». È da qui che prende origine il termine auctor (autore): colui che prende l’iniziativa, che è capace di determinare un cambiamento, che introduce una novità. Nella loro radice etimologica, autorità e originalità si saldano, e questo ci consente di interpretare l’autorevolezza come la capacità di promuovere l’originalità altrui. È autorevole chi “autorizza”, cioè, in senso etimologico, chi è capace di far crescere la capacità dell’altro di essere originale, creativo. L’esercizio dell’autorità diventa allora un servizio allo sviluppo e alla liberazione della libertà, non un controllo che tarpa le ali e mantiene legati.
In proposito, può essere utile richiamare alcune parole pronunciate da Papa Francesco nel suo incontro con i Gesuiti polacchi, che, sebbene riferite ai seminaristi, valgono a ben guardare per tutti i giovani in cerca della loro vocazione:
«Alcuni piani di formazione sacerdotale corrono il pericolo di educare alla luce di idee troppo chiare e distinte, e quindi di agire con limiti e criteri definiti rigidamente a priori, e che prescindono dalle situazioni concrete: “Si deve fare questo, non si deve fare questo…”. E quindi i seminaristi, diventati sacerdoti, si trovano in difficoltà nell’accompagnare la vita di tanti giovani e adulti. Perché molti chiedono: “Questo si può o non si può?” … Bisogna formare i futuri sacerdoti non a idee generali e astratte, che sono chiare e distinte, ma a questo fine discernimento degli spiriti, perché possano davvero aiutare le persone nella loro vita concreta. Bisogna davvero capire questo: nella vita non è tutto nero su bianco o bianco su nero. No! Nella vita prevalgono le sfumature di grigio. Occorre allora insegnare a discernere in questo grigio»[5].
Il discernimento appare in questo senso come lo strumento appropriato per esercitare autorità e autorevolezza. Diventa un servizio ai giovani, consentendo loro di appropriarsi della loro originalità e di trovare il modo per scoprire come indirizzare la propria vita. Al contempo sarà un servizio allo Spirito, che abita la storia e quindi anche la vita e il cuore dei giovani. Infatti, è Colui che fa nuove tutte le cose a fondare la diversità, la novità e l’originalità di ogni generazione di giovani, compresa la nostra. Il discernimento sarà allora anche lo strumento privilegiato della creatività pastorale, attraverso cui la Chiesa potrà riscoprirsi “madre e maestra” anche per i giovani del nostro tempo, capace cioè di esercitare un’autorevolezza generativa anche oltre la catechesi dell’iniziazione cristiana rivolta ai bambini e ai ragazzi, che molte volte esaurisce l’impegno ecclesiale nei riguardi delle nuove generazioni.
È fondamentale che il rinnovato fervore della pastorale giovanile, che si registra in questo periodo in moltissime Comunità ecclesiali (come testimonia ad esempio la celebrazione di numerosi Sinodi diocesani dei giovani), non si riduca all’entusiasmo di un momento, perché più che gli eventi contano i cammini. Il Sinodo intende aprire o ri-aprire una strada, lasciando agli operatori pastorali – sotto la guida dei Vescovi e delle Conferenze Episcopali – il compito di “incarnare” i documenti nel vissuto delle loro Chiese.
È questa, in fin dei conti, quella conversione pastorale cui Papa Francesco ha invitato la Chiesa intera nell’Evangelii gaudium, manifesto programmatico del suo pontificato. In effetti, la “Chiesa in uscita” di cui parla è essenzialmente una Chiesa capace di creatività pastorale: essa – afferma il Pontefice – «è la comunità di discepoli missionari che prendono l’iniziativa, che si coinvolgono, che accompagnano, che fruttificano e festeggiano»[6]. Mi pare per questo che ogni tentativo di rinnovare la pastorale giovanile, purtroppo affetta in molti luoghi da mancanza di slancio, debba prendere sul serio queste parole del Santo Padre, o più esattamente debba incaricarsi di realizzare il suo “sogno”:
«Sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione. La riforma delle strutture, che esige la conversione pastorale, si può intendere solo in questo senso: fare in modo che esse diventino tutte più missionarie, che la pastorale ordinaria in tutte le sue istanze sia più espansiva e aperta, che ponga gli agenti pastorali in costante atteggiamento di “uscita” e favorisca così la risposta positiva di tutti coloro ai quali Gesù offre la sua amicizia»[7].
Ringrazio di cuore per i suggerimenti e le provocazioni che questo Festival della Creatività Pastorale vorrà offrire in vista del prossimo Sinodo, con l’obiettivo di realizzare queste autorevoli indicazioni di Papa Francesco.
[1] Francesco, Udienza Generale, 4 ottobre 2017.
[2] Documento Preparatorio, 13 gennaio 2017, II, 2.
[3] Ibid.
[4] Ibid., III, 1.
[5] Francesco, «Oggi la Chiesa ha bisogno di crescere nel discernimento. Un incontro privato con alcuni gesuiti polacchi», La Civiltà Cattolica 3989/2016, 345-349.
[6] Id., Esortazione Apostolica Evangelii gaudium, 24 novembre 2013, 24.
[7] Ibid., 27.