Tu non puoi soltanto parlare della misericordia, la devi testimoniare, la devi condividere, la devi insegnare uscendo da te stesso
Molte grazie per le testimonianze. Ho domandato se potevo parlare in spagnolo... [l’Aula risponde: «sì»] e non in italiano, così mi posso esprimere meglio. Ma parlando in spagnolo, si parla un po’ di portuñol e un po’ di cocoliche, che è un po’ di italiano e di spagnolo insieme... Così con lo spagnolo ci arrangiamo.
Juan, hai trovato il senso della tua vita nella preghiera, nella vita fraterna in comunità e nella evangelizzazione, non è vero? Pregando, condividendo ed evangelizzando ti sei reso conto che la tua vita aveva un senso. Guarda che i tre verbi che hai usato per esprimere ciò, sono verbi di movimento, di uscita da te stesso. Sei uscito da te stesso nella preghiera per incontrare Dio, sei uscito da te stesso nel condividere la fraternità per incontrarti con i fratelli, e sei uscito da te stesso per andare a evangelizzare, per dare una buona notizia. E la buona notizia — tu hai usato la parola — è la misericordia, in un mondo segnato dalla disperazione e dall’indifferenza. È curioso, la misericordia è qualcosa di assoluto. Tu non puoi soltanto parlare della misericordia, la devi testimoniare, la devi condividere, la devi insegnare uscendo da te stesso. Per parlare di misericordia occorre mettere tutta “la carne sul braciere”, altrimenti non si capisce questa testimonianza di non essere rinchiusi in se stessi o nei propri interessi, ma di uscire. Uscire cercando Dio. Non è facile cercare Dio, è tutto un cammino. Uscire condividendo con gli altri — non giocando al bambino viziato al quale regalano tutti i giocattoli e tutti sono per lui — e uscire per raccontare agli altri che Dio è buono, che Dio ti sta aspettando addirittura nei peggiori momenti della vita. E quello è magari il messaggio della misericordia che uno può dare, no? Ricorda il passo del figlio che ritorna a casa. In Luca, al capitolo 15, c’è una frase che dice: il padre lo vide arrivare da lontano. Era partito alcuni anni prima, quelli lo hanno portato a spendere tutti i soldi che aveva. Lo vide arrivare da lontano. Questo mi fa pensare che quel padre, tutti i giorni, e magari in ogni momento, saliva sul terrazzo per vedere se il figlio tornava. Così è Dio con noi, anche nei peggiori momenti di peccato, anche nei momenti difficili. E continua il Vangelo: «E il padre, guardandolo da lontano si commosse — con quel verbo che in ebraico significa “gli si rivoltarono le viscere”, queste viscere paterne e materne di Dio — e uscì correndo e gli si gettò al collo». Quel figlio stava nel peggiore dei peccati, nella peggiore delle situazioni, e quando disse «torno da mio padre», il padre già lo stava aspettando. Quella è la misericordia, non disperare mai. Inoltre sembra che il nostro Dio abbia una speciale predilezione per i peccatori, compresi quelli “purosangue”: li aspetta. Così io ti suggerirei questo: continua a uscire da te stesso e fai capire a tutti che c’è sempre un padre che ci aspetta con affetto e tenerezza, al primo passo che noi vogliamo fare. Questo è ciò che sento il bisogno di dirti. Grazie.
Justine, tu hai ricevuto il battesimo nel giubileo della misericordia, bello! Ti sei resa conto che, avendo trovato Dio, ti ha portato a spogliarti, a uscire dall’essere centrata in te stessa verso fuori, verso la gioia di vivere per Dio e con Dio. Una delle cose — qui sono tutti giovani, compresi voi che siete giovani della seconda stagione, tutti giovani, giovani della seconda tappa —, una delle cose che caratterizza la giovinezza e l’eterna giovinezza di Dio, perché Dio è eternamente giovane, è l’allegria, «la gioia», l’allegria. All’allegria si contrappone la tristezza, una tristezza che è precisamente quella da cui voi siete usciti. Voi siete usciti da qualcosa che produce tristezza, che è l’essere centrati in se stessi, l’autoreferenzialità. Un giovane che si rinchiude in se stesso, che vive soltanto per se stesso, finisce — e spero capiate il verbo, perché è un verbo argentino — finisce empachado di autoreferenzialità, e cioè, pieno di autoreferenzialità. C’è un’immagine che mi viene adesso: questa cultura in cui ci tocca vivere, dato che è molto egoista, molto così [fa un gesto] da guardare a sé stessa, ha una dose molto grande di narcisismo, di quell’essere, di quello stare a contemplare se stesso, e pertanto ignorare gli altri. Il narcisismo ti produce tristezza perché vivi preoccupato di truccarti l’anima tutti i giorni, di apparire meglio di quel che sei, di contemplare se hai una bellezza migliore degli altri, è la malattia dello specchio. Giovani, rompete lo specchio! Non guardatevi allo specchio, perché lo specchio inganna, guardate verso fuori, guardate verso gli altri, scappate da questo mondo, da questa cultura che stiamo vivendo — alla quale tu hai fatto riferimento —, che è consumista e narcisista. E se qualche giorno volete guardarvi allo specchio, vi do un consiglio: guardatevi allo specchio per ridere di voi stessi. Fate la prova un giorno: guardate e cominciate a ridere di quel che vedete lì, vi rinfrescherà l’anima. Questo dà allegria e ci salva dalla tentazione del narcisismo. Grazie, Justine.
Mateus, hai parlato in portoghese, brasiliano. Devo farti una domanda: chi è migliore, Pelè o Maradona? [Risate e applausi dei partecipanti]. Per molto tempo sei passato attraverso il tunnel della droga, ed è uno degli strumenti che ha la cultura nella quale viviamo per dominarci, ed è, d’altro canto, come una necessità che noi abbiamo per farci sottili, invisibili a noi stessi, come se fossimo d’aria. La droga ci porta a negare tutto quello che noi avevamo di radicato, di radicamento carnale, di radicamento storico, di radicamento problematico, tutto ciò che è radicamento. Ti toglie le radici e ti fa vivere in un mondo senza radici, sradicato da tutto. Sradicato dai progetti, sradicato dal presente, sradicato dal tuo passato, dalla tua storia, sradicato dalla tua patria, dalla tua famiglia, dal tuo amore, da tutto. Uno vive in un mondo senza nessun radicamento e questo è il dramma della droga. Giovani totalmente sradicati senza impegni reali, e cioè senza veri impegni di carne perché nella droga non senti neanche il tuo corpo. E dopo aver passato quell’esperienza nell’invisibilità e dopo averne preso coscienza, ti sei reso conto di tutti i radicamenti che ci sono nel cuore. Io domando a ognuno di voi: siete coscienti dei veri radicamenti che avete nel cuore, siete coscienti delle vostre radici, siete coscienti dei vostri amori, siete coscienti dei vostri progetti, siete coscienti della capacità creativa che avete, siete coscienti di essere poeti in questo universo per creare cose nuove e belle? Uscire dalla droga significa prendere coscienza di ciò, testimonianza di uno che viene, per questo ci poniamo le domande che io ho appena fatto. E ognuno si risponde: sono cosciente di avere i piedi sulla terra con tutto quel che significa di radicamento storico, sociale, di radicamento di saggezza, di amore, di progetti, di capacità creativa? E tu vuoi corrispondere al piano di Dio e ti sei reso conto che per te significa consolare i dolori dell’umanità, e tu dici che in questo cammino sinodale vuoi discernere la tua vocazione. E in questo cammino sinodale tutti dobbiamo discernere la nostra vocazione — come tu dicevi — per vedere che cosa ci vuole dire il Signore in vista di una missione. Io te lo dirò con una sola parola, che non è mia: dare gratuitamente. Se tu sei qui, se noi siamo qui, è perché gratuitamente ci hanno portati qui. Per favore, diamo gratuitamente quel che abbiamo ricevuto. Dare gratuitamente quel che abbiamo ricevuto. E dare gratuitamente ti riempie l’anima, ti decommercializza, ti rende magnanimo, ti insegna ad abbracciare e a baciare, ti fa sorridere, ti scioglie da tutti gli interessi di tipo egoistico. Dai gratuitamente quel che gratuitamente hai ricevuto, questo è l’insegnamento che Egli ci sta proponendo? [Risposta con un debole “sì”]. O mio Dio, come state! Sembra che io invece di animarvi vi stia offrendo un calmante per i nervi per addormentarvi [Applausi].
E i più adulti, i più anziani della Comunità Shalom, che devono fare? Che servizio ci sta chiedendo oggi questo mondo, questo carisma, questa comunità, che servizio? Qui c’è una cosa — è bello — i più anziani e i più giovani: il servizio che si chiede loro è il dialogo, il dialogo tra di voi, passare la fiaccola, passare l’eredità, passare il carisma, passare il vostro vissuto interiore. Ma voglio andare più in là, e una delle sfide che oggi questo mondo ci chiede è il dialogo tra i giovani e gli anziani, e in ciò mi baso sulla vostra testimonianza: “Sì padre, già ce lo sentiamo dire”. E me lo ascolterete dire più volte: dialogo tra i giovani e gli anziani. I giovani hanno bisogno di ascoltare gli anziani e gli anziani hanno bisogno di ascoltare i giovani. “E io, che farò?” può chiedere un giovane: “Che farò, parlare con un anziano annoiato, sarà quello?”. Ho l’esperienza di averlo visto molte volte nell’altra diocesi: andare con un gruppo di giovani, per esempio, a una casa di riposo o un ricovero a suonare la chitarra agli anziani. Ebbene, si suona la chitarra e dopo incomincia il dialogo, è spontaneo, si dà, nasce da solo, e i giovani non vogliono andar via da lì, perché dagli anziani viene fuori sapienza, ma una sapienza che arriva al cuore e li spinge ad andare avanti. Gli anziani — per voi giovani — non sono da conservare nel guardaroba, gli anziani non sono da tenere nascosti, gli anziani stanno aspettando che un giovane vada e li faccia parlare, che li faccia sognare. E voi, giovani, avete bisogno di ricevere da questi uomini e da queste donne questi sogni, queste speranze che li facciano rivivere. Questa sarebbe la mia risposta all’esperienza che i più anziani in dialogo con i più giovani del Movimento Shalom dovranno fare. Insegnare e aiutare il dialogo tra giovani e anziani. “Sì, io parlo con mia mamma, con mio papà”. No, il tuo papà e la tua mamma non sono anziani. Parla con tuo nonno o tua nonna, ossia, una generazione più in là, hanno la sapienza, e loro, tanto più, hanno bisogno che si bussi al loro cuore perché ti diano la sapienza. E questa sarebbe come la raccomandazione che io vi do: coraggio, incoraggiatevi a questo dialogo, questo dialogo è promessa per il futuro, questo dialogo vi aiuta ad andare avanti. Non so se ho risposto alla tua domanda. (Mosè risponde: sì). Molto bene grazie. Non so come continua il programma ora ma mi è rimasto un dubbio alla fine dell’ultima domanda del dialogo tra giovani e anziani. Mosè è giovane o anziano? (Risposta: Sono come te, Santo Padre, sono come lei).
DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
AI MEMBRI DELLA COMUNITÀ CATTOLICA SHALOM
Aula Paolo VI
Lunedì, 4 settembre 2017